LGBTQIA+ Universi dietro le parole

di Flavia Tomarelli, psicologa psicoterapeuta

Nonostante oggi si senta molto parlare di tematiche LGBTQIA+, c’è ancora molta confusione sul mondo che si cela dietro questo acronimo. Complice di tale disorientamento sono le innumerevoli definizioni in circolazione, definizioni che – quasi quotidianamente – vengono aggiornate e ampliate al fine di dare voce e visibilità alle tante sfumature in cui genere e sessualità si esprimono. Equità, rispetto e inclusione passano però anche attraverso le parole, motivo per cui non ci si può esimere dal conoscerle. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza sul tema LGBTQIA+, partendo proprio dall’analizzare la terminologia che trova spazio in questo acronimo:

– L sta per Lesbica, persona di genere femminile che prova attrazione sessuale e affettiva per altre di genere femminile.

– G sta per Gay, persona di genere maschile che prova attrazione sessuale e affettiva per altre di genere maschile.

– B sta per Bisessuale, persona di genere femminile o maschile che prova attrazione sessuale e affettiva per altre di genere sia femminile che maschile.

– T sta per Trasgender, termine ombrello comprendente tutte le persone la cui identità di genere non corrisponde al genere e/o al sesso assegnato loro alla nascita. Si definiscono transgender non-binari coloro che presentano un atteggiamento sociale e sessuale che combina caratteristiche del genere maschile e di quello femminile senza identificarsi interamente in nessuno dei due; sono transgender binariquei soggetti che si identificano in modo transitorio o persistente con un genere diverso da quello assegnato.Le persone transgender, inoltre, vengono chiamate transessuali se il loro comportamento sessuale è caratterizzato dalla non accettazione del genereassegnato e dall’identificazione in quello opposto, fino ad assumerne le caratteristiche fisiologiche mediante processi di transizione.

– Q sta per Queer, persona che non vuole incasellarsi in categorie d’identità e orientamento sessuale, ritenendo quest’ultimi “fluidi”, passibili di variazioni nel tempo e pertanto non cristallizzabili in una definizione.

– I sta per Intersessuale, persona che ha caratteristiche sessuali diverse da quelle che sono considerate di solito maschili o femminili a livello di cromosomi, ormoni, organi sessuali interni e genitali. Un tempo si utilizzava il termine “ermafrodite”, oggi considerato obsoleto e non rappresentativo di tutte le situazioni d’intersessualità.

– A sta per Asessuale, persona che non prova attrazione sessuale verso nessun genere.

– Il più (+) ingloba tutte le altre possibili identità di genere e/o orientamenti sessuali.

La conoscenza e l’utilizzo di questi termini sono importanti perché consentono di mettere in luce situazioni ed esperienze che rischierebbero altrimenti di rimanere invisibili e inascoltate. In quest’ottica, il linguaggio diviene quella chiave capace di aprire spazi di senso in cui ciascuno può affermarsi e ri-conoscersi nella propria libertà di essere, rendendo maggiormente identitaria la propria esperienza entro contesti socio-culturali condivisi.

Fatte queste premesse, c’è però una cosa fondamentale da ricordare: dietro le singole lettere che compongono l’acronimo LGBTQIA+ ci sono persone, ognuna delle quali portatrice di una storia unica e irripetibile.

Se si perde di vista questo aspetto, ecco che il linguaggio – e le categorie che tenta di descrivere –da chiave desiderosa di aprire si trasforma in sigillo di una prigione invalidante.Il rischio, infatti, è quello di ridurre coloro che si riconoscono in una determinata categoria a uno stereotipoo a una caratteristica, costringendoli in una casella dalle regole e dai confini rigidi che ne limitano la possibilità di agire, sentire e – ancor prima – di essere.

È invece importante ricordare che esiste una variabilità intra-categoriale tanto ampia quanto lo sono gli universi soggettivi custoditi in ogni singola persona, la cui storia e i cui vissuti la rendono assolutamente unica e irripetibile, diversa da chiunque altro.

Il problema, quindi, non sono le categorie ma la normatività – contraria della processualità – con la quale le si approccia, normatività che le rende struttura sine qua non che esaurisce e satura tutti i livelli.

In conclusione, le categorie ci offrono dei preziosi universali ma è necessario andare oltre per poter accogliere noi stessi, ancor prima dell’Altro. In questo “oltre”, si scopre che l’unica norma capace di accomunare tutti gli essere umani è la diversità. Diversità come arricchimento, fonte inesauribile di conoscenza ed esperienza. Diversità come spazio condiviso, terreno fertile capace di far fiorire l’incontro con l’Altro. Diversità come libertà, possibilità di scoprirsi per quel che si è, di divenire ciò che si può e di re-stare con tutto quello che vi sta in mezzo.